lunedì 1 novembre 2010

OCCHIO SUL MONDO - FOCUS a FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA 2010 - C&B REPORTAGE#2 • BOX - THE HAKAMADA CASE

Consiglio gratis per chi di voi sarà nei prossimi giorni al FIF: NON chiedete informazioni a chicchesia. Del tipo "dove devo ritirare gli accrediti per il film XY?". Non so se vi ricordate quella scena de Le dodici fatiche di Asterix, quando si perdono nel burocratese palazzo che rende folli. Ripasso che non c'entra veramente nulla col Jappone ma che piace ai francesi:
Ecco questo è più o meno quello che è capitato a me oggi. La cosa più bella è stata sentirsi dire: Andate lì... ANDATE Lì?!?!? VE lo dico perché non credo voi avrete un angelo custode come è successo a me che con un passepartout magico (e il dono dell'ipnosi ai danni dei buttafuori) mi ha spalancato le porte della sala. Ma andiamo a incominciare, questa volta le cose si fanno serie, ci sarà poco da ridere.
これは、ハリケーンの物語です 
(aka This is the story of the Hakamada)
Box - The Hakamada Case
Trama: Questa è la storia vera di Iwao Hakamada, che (forse) uccise a coltellate 4 persone, poi  (forse) ne rubo gli averi e (forse) ne bruciò la casa. Una volta catturato gridò forte la sua innocenza. Fu quindi interrogato per 700 ore quasi consecutive (e 37 minuti dall'avvocato adetto alla sua difesa) e alla fine confessò. Venne quindi condannato a morte e passò 42 anni in una stanza due metri per due, perdendo la speranza e la ragione. Scusate, ho sbagliato ad usare il passato nelle ultime frasi, Hakamada è ancora oggi nel braccio della morte, dopo 42 anni, la più lunga detenzione della storia del Giappone.  Questa è anche la storia vera di Norimichi Kumamoto, uno dei giudice che ha firmato la condanna a morte per Iwao, e che, dopo essersi dimesso dalla carica, da 42 anni è attivo per far abolire la pena di morte nel suo Paese. Uno dei più civilizzati del mondo, almeno così dicono loro.


Un film necessario, questo è fuori ogni dubbio. Un racconto ai confini della realtà legale che si dipana per tutta la prima ora (la ricostruzione dei fatti) quasi come un documentario, con tanto di foto, lucide ricostruzioni, quasi una lettura di atti processuali. La voglia, la necessità di mettere ordine nella notte dell'efferrato omicidio, le terribile ore degli interrogatori violenti e marziali (come solo in oriente sanno essere, fosse stato per me, già al primo grido in faccia urlato con la forza di un Oni, sarei crollato e avrei confessato anche di aver pinatato la Lancia di Longino nello sterno di Gesù), e mettere quindi lo spettatore nella condizione di capire e diventare lui stesso giudice.
Poi, appunto, il giudice. Che condannando Iwao condanna sé stesso ad una vita ossessionata dalla colpa di aver destinato al patibolo un innocente. Le parti funzionano. Soprattutto il ruolo del giudice, su cui effettivamente ruota l'intero film, diventa il cardine su cui premere le proprie convinzioni, seguiamo la sua ricerca della verità, e questa verità (l'innocenza) ci appare talmente palese da diventare dolorosa, quando pensiamo che tutto è vero, tutto è successo, tutto succede, anche in questo preciso istante, mentre noi vediamo i film, scriviamo sui blog, leggiamo i blog. Quindi, ripeto, un film necessario. Ma anche un film, e siamo qui chiamati a giudicarlo. Metterò da parte l'idiosincrasia broccola per la recitazione nipponica, l'ho già detto, lo ripeto: non riesco a credere fino in fondo che siano davvero così. Che riescano ad essere senza soluzione di continuità così forsennatamente rabbiosi, così tristemente disperati e alle volte così ridicoli (quando il giudice chiede agli altri due colleghi di pensarci bene, di rivalutare la loro decisione lo fa con il viso di un bambino rattrappito perché la mamma lo ha sgridato, e quando gli altri lo guardano come avesse parlato un moscerino, si mette gomiti sul tavolino come lo avessero mandato dietro la lavagna con il cappello da Asino). Ma di certo sono io, io che non riesco ad abituarmi ai loro tempi, ai loro modi di comunicare le emozioni, forse non riesco proprio a calarmi nelle loro imperative regole comportamentali, che diventano poi la ragione di queste "esplosioni" emozionali (la rabbia repressa esplode, il riso compresso esplode, la tristezza trattenuta esplode). E questo (la poca empatia con gli attori) è un problema soggettivo. L'altro è invece un problema oggettivo: ci viene raccontata una storia atroce, 42 anni in un carcere (e in più giapponese, in più nel braccio della morte, in più in una cella di 4 mq) spezzerebbero chiunque... spezzerebbero chiunque 42 minuti, soprattutto se innocente. 42 anni. Ci caliamo nei panni difficilissimi del giudice, che ci palesa con prove inconfutabili l'innocenza di Iwao e siamo per tutto il film convinti di una cosa: IWAO è INNOCENTE. Eppure, ecco quello che fa pensare C&B, per una volta serio, perché per tutto il film non ci viene mostrata la ricerca del vero colpevole? Quale prova migliore potrebbe scagionare Iwao se non la dimostrazione che è stato un altro? "Perché non è facile trovare un assassino dopo anni dal crimine" risponderete voi novelli Lucarelli. Eppure alla fine del film il regista ci fa una domanda (intendo proprio che ci fa la domanda, la scrive proprio sullo schermo) "E se aveste dovuto giudicare Hakamada, cosa avreste scritto? Colpevole o Innocente?". Ebbene... che domanda è? Per due ore ho visto quest'uomo pestato a sangue per 700 ore da poliziotti urlanti, l'ho visto condannato da due giudici in combutta, l'ho visto difeso da un avvocato d'ufficio inetto, ho visto prove schiacianti a suo sfavore posizionate ad un anno dall'omicidio palesemente "messe" dalle forze dell'ordine, ho visto il giudice trovare da solo le controprove della sua innocenza, e dopo aver visto tutto questo, come potrei mai scrivere "colpevole". Eppure (avvocati del diavolo, su C&N) se Hakamada fosse colpevole? La teoria del Rasoio di Occam cosa dice? In sostanza che la soluzione più vicina è quasi sempre quella vera. Insomma, il fatto che nessuno mai si dica "ok, non è stato lui. Allora chi è stato?" rende tutto il meccanismo come "tronco". è come mancasse un pezzo, la prova definitiva.
Detto questo (libero pensiero in libero cranio) il fatto che Hakamada potrebbe teoricamente essere anche colpevole non giustifica NESSUNO dei metodi disumani subiti, dalla costrizione della confessione alla pena di morte, punizione inutile (figuratevi poi per uno ateo come me, facile uccidere, avanti il prossimo. e che pena sarebbe poi morire? dopo non c'è nulla, stica).

Appunti sul finale. Un finale così surreale, onirico, smaccatamente simbolico (la neve, il cappio, la sfida, lo scambio) forse stona un poco rispetto alla dimensione, come detto, quasi documentaristica. Ma sono solo appunti, peli in uova marce, sono solo piccolezze di un cinefilo che oggi ha visto un film necessario. Un film che dovete necessariamente recuperare.
Ancora più atroce pensare che in Giappone è sistematico nei casi di pena di morte aspettare un minimo di 30 anni prima di eseguire la sentenza, al patibolo ci vanno 70enni pazzi, complimenti. Quindi ora lo sapete: in Giappone c'è la pena di morte. E c'è anche qui. A questo proposito Amnesty Internetional ha sempre dei copy coi controco, ecco alcune illuminate ADV:
(VEDETELA. DURA UN MINUTO. PENSATE AI 42 ANNI...)
VVVIngiustizia sia fatta. Al cinemaVVV
Gian Maria Volontè-Riccardo Cucciolla/Sacco e Vanzetti (giustiziati nel 1927, innocenti)
Daniel Day-Lewis/Gerry Conlon (15 anni di prigione, innocente)
Denzel Washington/Rubin "Hurricane" Carter (22 anni di prigione, innocente)
VVVMovie dead men walkingVVV
Colpevole di ciuffo
Colpevole di pranoterapia
Colpevole di possessione
Colpevole di voti bassi

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