giovedì 10 marzo 2011

TOFU&BROCCOLI#3 • Confessions

CONFESSIONS (告白)
Trama: i baby killer e la scuola dell’orrido.
Ci sarebbe molto da dire su questo film, che era il candidato giapponese per la cinquina dell’oscar straniero, rimasto poi escluso. Chissà perché. Forse perché troppo giapponese, nei contenuti e nella forma, contenuti e forma non rivoluzionari ma decisamente virati a est.
Ci sarebbe molto da dire e infatti non so da dove iniziare (e rischio di non sapere dove andare a finire). Facciamo che vi risparmio il pippone socio-psico-culturale sull’evidente fascino che i ragazzini killer esercitano nel subconscio giapponese, cosa riscontrabile in qualunque espressione culturale, e mettiamola così: Confessions è l’Elephant giapponese (quindi Erephant), o meglio, è quello che Elephant sarebbe potuto essere e non è, nemmeno di striscio. Sono uguali e opposti. Ragazzini problematici a scuola, problemi che diventano patologie, patologie che diventano reati, reati che diventano tragedie inconfessabili. Ma dove Elephant va avanti a furia di mutismi e piani sequenza (facendoci due palle tante), Confessions è parlatissimo, fino allo sfinimento, e monta cinque storie intrecciate tra loro (inchiodandoci alla poltrona, occhi e orecchie spalancati). Ho iniziato a vederlo alle undici di sera e temevo l’abbiocco, niente di più facile con un film in giapponese sottotitolato in inglese. Niente di più falso, la prima mezz’ora è una bomba nucleare totale, un incipit di una potenza che raramente si vede, un calcolato e freddo crescendo esponenziale che esplode al primo punto di svolta. Poi cala, ma era logico. In un qualsiasi film americano questa sarebbe stata la mezz’ora finale. Invece è l’inizio.
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Ed è soltanto il monologo della prof, che l’ultimo giorno di scuola fa una confessione alla sua classe di ragazzini tredicenni. La voce monotona, tipo altoparlante del centro commerciale, all’inizio passa inosservata, poi diventa fastidiosa, non cambia mai tono, è monocorde, quando stai per dire cheppalle cambiano le cose che dice e quindi subentra la curiosità, la sorpresa, lo shock, finché arrivi a sperare che tutto il film sia così, con lei che parla dentro la classe, e giuro sarebbe stato comunque ottimo.
Al tenutario qui piacciono i film di vendetta, alla sottoscritta no perché di torture e compiacimenti sanguinolenti ne faccio volentieri a meno, ma Confessions è un bellissimo film di pura vendetta, anzi, di pura punizione, che dire servita fredda è dire poco, con poco sangue e senza tante minacce, di gelida tortura psicologica che scatena un inferno di psicosi concatenate. Ricorda quel gran film che è Old Boy in più di un momento, di nuovo vendette orientali, glaciali, marziali.
Raccontare troppo rovinerebbe le varie sorprese a chi vedrà il film (vedetelo!!) e Confessions è in realtà un sacco di cose, oltre all’Elephant giapponese, al Bowling a Yokohama, allo psicothriller Young Boy delitto e castigo (che infatti è citato, non a caso). È impossibile non pensare al risvolto sociale, specie per chi mastica un po’ di Giappone (anche solo leggendo i manga), impossibile non pensare che il Giappone è uno dei paesi dove il bullismo scolastico è più diffuso e col più alto tasso di suicidi fra i ragazzini-vittime, dove le autorità (genitori, professori, la legge) non sanno e non possono intervenire, o il più delle volte se ne fregano, perché finché non diventi un adulto perfettamente inserito, ingranaggio invisibile della società, sei una specie di mina vagante aliena che potrebbe diventare qualsiasi cosa e per questo fai paura. Impossibile non pensare alle mamme assenti, o votate a fare del figlio un genio tralasciando tutto il resto, che sono più numerose di quanto si possa immaginare. Impossibile non notare che il professorino giovane che vuole fare l’amico a tutti i costi è aberrante tanto quanto i suoi studenti schizzati. 
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Il film pesca a piene mani dalle piaghe contemporanee e millenarie della società giapponese, che sono solo l’alterazione esasperata e deformata dei problemi adolescenziali di qualunque ragazzino in qualunque parte del mondo, e traccia almeno cinque personaggi principali e altrettanti secondari, raccontando con maestria un’ottima storia, che è quello che si richiede a un film, alla fine dei giochi, senza troppi giri di parole (in cui mi sono persa, lo ammetto).
La forma un po’ si perde, dietro a troppi ralenti (scommetterei che più del 50% del film è al ralenti) e con troppa musica melensa, ma è la forma di quasi tutto il cinema giapponese, che calca sempre troppo il pennarello quando vuole sottolineare qualcosa, sempre in bilico tra poesia e manierismo compiaciuto. Ma quando il contenuto salva la forma, il resto gli si perdona. Confessions non dice nulla che non sia già stato detto e ridetto, ma lo dice in una lingua diversa. Geograficamente, culturalmente, cinematograficamente diversa. 
Del regista poco si sa, se non che nel 2004 ha girato un certo Shimotsuma Monogatari aka Kamikaze Girls, con due attrici strabordanti come Kyoko Fukada (Miss Dronio in YattamanAnna  Tsuchiya (la protagonista di Sakuran):
Sono occidentalista, perché mai dovrei vedere questo film assurdo?
Perché altro che Elephant, la vera scuola dell’orrido è questa. Quello che si cela dietro alle divise perfette e ai turni di pulizia merita sempre un’occhiata.

1 commento:

  1. super °chicken° per questa recensione. mi hai fatto venire una curiosità!!
    anche a me aveva deluso tanto Elephant. ma questo me lo vedo!:)

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