lunedì 4 aprile 2016

Complesso di felicità

La felicità è un sistema complesso
Trama: Sistema metrico decimare

C'è una cosa grande in questo film, e si chiama Valerio Mastandrea.
Quand'è, esattamente, che Valerio Mastandrea è diventato il meglio di tutti? Ma proprio di tutti eh, dei vari Favino e Accorsi e combriccola. Forse da qui? O da qui? O magari da qui. Molto probabilmente da qui. O ultimamente qui:

O forse semplicemente da quando ha iniziato a fare i film che gli andava di fare davvero, col risultato di essere sempre bravissimo, in bilico tra il migliore amico che vorresti avere per andarci a fare una partita a calcetto (anche se non hai mai fatto una partita a calcetto) o anche a cena a costo di leggere tutti i messaggi di whatsapp che ti arrivano e un profondissimo attore che regge il confronto coi grandi del passato.
Mastandrea è bravo. Ma bravo, bravo, bravo, bravo. Proprio da ripeterlo sei volte: bravo.
Controlla la sua "sfigataggine" (da non intendersi come roba nerd) con fierezza per nulla impacciata tanto che diventa un fico; sa come essere sommesso e al tempo stesso fiero (un po' come fa Germano) e fa sorridere amaro, molto amaro. È puro. È vero. È vivo.
Quanta strada ha fatto da quando andava a raccontare le sue avventure comicosentimentali di periferia da Costanzo.... [Qui ci sono io che cerco le sue ospitate e oh! Non c'è neanche una foto o un video! Che questo passato un po' inglorioso sia stato mondato dall'ufficio stampa di Valerio? Aridatece i video di Mastandrea al Maurizio Costanzo Sciò!?]
Comunque, mi sento di dire che Mastandrea è, oggi, il migliore esempio di "crescita" professionale e umana a cui si possa pensare. Da ammirare e prendere come esempio anzichennò.
Quella professionale è davanti agli occhi di tutti coi suoi film, quella umana si nasconde dietro l'aver combattuto (combattuto per davvero) per far sì che Caligari facesse Non essere cattivo, e aver creduto in uno come Mainetti da subito (rileggete qui e rivedete Manette).
Insomma Mastandrea cavaliere d'onore al meglio uomo del bigonzo cinematografico italiano punto e basta. 
Di cosa parla il film? Mastandrea che fa uno di quei lavori che sarebbero piaciuti a Jason Reitman, di quelli che devi essere uno stronzo: appena un rampollo di qualche famiglia prende in mano la società del padre, Mastandrea si insinua nella sua vita e diventandone amico lo convince a prendere una ricca buonuscita, vendere la società (alla società per quale lavora Masta) e andare in Costa Rica ad aprire un baretto sulla spiaggia. La scusa che Masta si dà è quella di salvare la società e quindi tutti i dipendenti da fallimento certo se lasciata in mano a giovani che non hanno mai lavorato un minuto in vita loro, in cuor suo sa che è uno stronzo. Arriva però il momento di confrontarsi con due ragazzini che, per quando imberbi, gli fanno rivedere le sue posizioni.
Il film è costruito intorno a lui, gli altri sono satelliti che gli girano intorno - un po' come la locandina, come un sistema mastasolare - e lui lo regge tutto che è una bellezza. È il sole che illumina tutti gli altri.
Ad essere un po' tanto lezioso è l'incedere del regista, che insiste su movimenti di macchina forzati (troppi ralenti, troppe "stortignaccolerie", troppi dolly pretenziosi) e che spesso si scorda della storia e decide che deve per forza fare dei video musicali, così, ad cazzum... la storia va avanti e poi BUM parte il video musicale, pure lungo.
Ok, la colonna sonora è bella, non discuto:


anche se poi arriva quel tizio - che già da quando ha fatto successo aveva la data di scadenza che segnava 2013 in fronte - e ha il coraggio di cantare (e far cantare a Mastandrea), testuali parole, "ho fatto una torta di noi":

Parole forti... e tutto finisce molto male dal punto di vista musicale. Inoltre i suddetti video non sono neanche troppo originali (i ragazzi sugli skate nelle strade fanno tanto Suburbs).
Poi ci sono quelle scene un po' così:
Che ok, dimostrano che in Italia abbiamo abbastanza sdoganato gli effetti speciali (li hanno fatti quelli di Lightcut Film, un giro sul loro sito lo farei), ma il risultato è ugualmente troppo iconografico (volo = leggerezza), stride.
La sceneggiatura e le tematiche sono cugine di primo grado di quel Il capitale umano che tanto ci era piaciuto, con la classe dei ricchi industriali del nord italia che poverini hanno un cuore pure loro, anzi no.
Però, leziosità e video musicali a parte, te lo vedi, te lo vedi tutto, tutto perché Mastandrea vale sempre e comunque e alla fine senti che qualcosa di buono te l'ha lasciato, che non è certo l'empatia per i rampolli delle famiglie di industriali del nord, quello no:
ma più che altro la coscienza di pensare che tutti, ma proprio tutti, siamo esseri umani, che, generalemente, cercano solo di essere felici. Hai detto cazzo. Il problema è trovare la propria felicità senza che questa faccia leva sull'infelicità degli altri. Hai detto stracazzo.
La domanda ora è: che fine ha fatto il film di Zerocalcare? Dopo mesi a scrivere la sceneggiatura, a fare il pupazzone dell'armadillo che doveva, dice, avere la voce di Giallini, e a scegliere il protagonista (vuole la leggenda che Mastandrea dopo decine di provini lo aveva trovato al supermercato...) non mi sembra se ne sia fatto più nulla. 
E per ogni film che ti fa credereche il cinema italiano possa rinascere, ne arriva uno che...

Nessun commento:

Posta un commento