mercoledì 14 gennaio 2015

Occhi appalla

Big Eyes
Trama: Che occhi grandi fai. È per fregarti meglio.

Dunque Tim si è lasciato con Helena Bonham (ma per niente bona) Carter e diventa un tipo tutto colori e sole e mare e arcobaleni e stuff? Veramente mi stai dicendo che Burton ha mollato il suo andamento goth (che lo vorrei vedere andare in giro con il cantante dei Cure, ci sarebbe da ridere. Potrebbero anche essere nel cast di This Must Be The Place 2)
Ma no, il fatto è che Burton ha definitivamente saltato lo squalo ed è diventato un regista come tutti gli altri, anzi peggio di tanti altri.
Lo sappiamo che Brutton (non più Burton da anni) non azzecca un film da tanto tanto tempo. L'ultimo che possiamo dire veramente suo qual era? Sleepy Hollow? 
No perché Pianeta delle Scimmie era una brutta marchetta, Big Fish sopravvalutato, La fabbrica di Cioccolato un totale fallimento, La sposa cadavere bah, Sweeny Todd caruccio ma lo avete mai rivisto?, Alice da denuncia, Dark Shadow niente di speciale anche se salvabile e Frankenweenie diseducativo.
E adesso Brutton torna con un biopic che racconta sì una storia di arte e stile e personalità, anzi si basa proprio sul concetto di visione artistica personale, dell'arte come tramite tra la propria anima e il mondo, sull'artista che tramite il suo stile riesce a comunicare quello che altrimenti a parole non riuscirebbe. E proprio in un film che sottolinea l'importanza di trovare il proprio stile (nell'arte, ma anche nella vita) Brutton riesce a dimenticarsi totalmente di sé, dello stile che ha tanto caratterizzato la sua carriera (e purtroppo ha vantato il più alto tentativo di copie carbone mal riuscite, soprattutto negli anni 2000, quando fu tutto un proliferare di quella "artistica" corrente chiamata Pop Surrealismo).
Ora, la cosa molto strana è che io di questa Margaret Keane non avevo mai sentito parlare.
"Ecchissenefrega" direte voi, "Ammemeffrega" rispondo io, perché queste cose dell'arte con gli occhi grandi posso ben dire di averle avute intorno per un po' di anni della mia vita (dal 2003 al 2009, per l'esattezza), gli stessi anni in cui proliferava, appunto: il Pop Surrealismo (riassumendo Pop Surrealismo: mettere insieme le robe pop con visioni oniriche e fare tutto un mega mix di rimandi e ispirazioni e dipingerli - o realizzarli al computer - con stile fumettoso/cartonesco. Leggi anche qui.).
Insomma ci ho gravitato, l'ho vista nascere, imporsi e poi morire malamente. Ho cercato con gli occhi aperti di vederne il buono, di evitare le tante buffonesche copie, e insomma posso dire anche di aver contribuito (non credo sia stato un grande merito, a conti fatti) a farlo arrivare qui in Italia. Ora non sto a specificare cose facevo, ma insomma quando finisci nella pagina di Wiki dedicata al LowBrow e al Pop Surrealismo e sulla Treccani (e non ti ci sei messo da solo) qualcosa di "importante" vuol dire che forse l'hai fatto, e se non importante, perlomeno degno di Wiki (hai detto cazzi).
Ma smettiamo di incensare me - anche se è la cosa che mi riesce meglio - e pensiamo ad affossare il film. 
Dunque, non averla mai sentita mi pone di fronte a un interrogativo molto serio: sono io un inetto o nel film mi fanno credere che fosse più famosa di quanto in realtà non fosse (c'è un momento in cui la paragonano, in quanto a celebrità, ad Andy Warhol, che era comunque successivo...). E come mai non è mai apparsa in nessuna delle interviste che ho fatto, quando magari si parlava di Ispirazioni? Perché insomma, se io vedo questo (fatto negli anni 50)
e poi vedo questo (di Ana Bagayan, anni 2000)
Be' ce la vedo eccome un'ispirazione. Anche un po' più di un'ispirazione.
E allora mi sono risposto così.
La storia raccontata dal film (al netto delle necessarie prese di posizioni per far pendere le preferenze dello spettatore tutte dalla parte di Margaret) è in realtà un brufoletto nella storia dell'arte contemporanea (come d'altronde lo è il pop surrealismo). Certo ci sono quelle cose del catalogo pubblicato (ma da quale editore? Ne ho visti di libri dedicati ad artisti ignobili, ne ho viste di cose che voi umani, tele da combattimento in fiamme al largo dei bastioni della Tiburtina...). E poi quella cosa dell'Esposizione internazionale. E quell'altra dei milioni di dollari, che insomma, fare i milioni di dollari in America - se ti dice bene - non è poi così difficile e non è neanche una cosa che fa tanto notizia.
Sia mai che è mia inettitudine.
Il film racconta proprio di questo: Margaret, una giovane donna, ex-moglie e madre, cerca di sbarcare il lunario con il suo lavoro di artista (a dirla tutta è abbastanza scarsa), ma non riesce a vendere un quadro neanche fosse Piazza Navona.
L'incontro che le cambierà la vita (In peggio? In meglio? Si apre la discussione...) è quello con Walter, imbonitore di quelli che riuscirebbe a vendere degli occhiali a raggi-X a un cieco, uno che davvero ci sa fare con le parole, tanto che oltre a impalmare, sposandola, Marg, ne diventa l'agente, ma più che agente le ruba direttamente il nome e millantandosi autore dei quadri della moglie inizia a scalare le preferenze dei collezionisti, solo ed esclusivamente con la parlantina. 
Ah, la parlantina, ne ha fatti di danni. Agente è cattiva.
I due portano avanti la truffa per dieci anni dieci, diventanto intanto molto ricchi, anche perché Walter inizia a vendere i poster delle opere. A me questi che vendono i poster guarda... li ammiro molto.
Segue tristezza di Marg che non può essere riconosciuta come artefice dei quadri, scazzi con il marito che si rivela un mezzo pazzo, e via dicendo fino alla fuga di casa (alle Hawaii, porella) e la causa discussa in tribunale.
Ora, il film come detto pende totalmente verso la campana e carampana:

di Marg, raccontandoci di un Walter vessatorio, affascinante ma al tempo stesso autoritario, bugiardo cronico e con una forte indole criminale. Insomma 'no stronzo.
Ma cavolo, dieci anni sono tanti e pure Marg, secondo me, qualche colpa ce l'ha. Capisco che poi da certe situazioni ti ci ritrovi avviluppato e non riesci più a uscirne anche quando vorresti con tutto te stesso. Prendi me per esempio, con ChickenBroccoli...
Dai scherzo.
Insomma il film non è propriamente orrendo, ma ha una pecca troppo grande, grandi occhi, grande pecca: è orribilmente ordinario. È penosamente normale, come la giacca di Fantozzi quando va a caccia.
Brutton fa un lavoro che anche l'ultimo generico regista preso dal distributore automatico di registi avrebbe potuto fare, mettendo qualche "nota" personale in un paio di scene, queste: 
ma, insomma, niente che non si sia visto in alcuni video musicali degli anni novanta e in qualsiasi film con Amanda Seyfried.
E diamoci giù di Effetto Fluidifica.
Gli attori sono bravi, anche se insomma non è che ti puoi aspettare cattive interpretazioni da Amy Adams che si prepara alla sua settima candidatura ma zero oscar, e da Waltz, che è il solito ammaliante e fascinoso che abbiamo imparato ad amare ma che, per la prima volta, anzi forse la seconda, è un po' sopra le righe...

Fa un po' il Gigio, diciamo (per chi ha visto il film sarà lampante la somiglianza nell'abbigliamento). Però lo perdoniamo perché come Waltz non c'è nessuno. Lo amiamo anche se sta lavorando come un forsennato (sta in quello dei Boss 2 e nel prossimo 007) ma ci conquista sempre con la sua innata e invidiabile ironia.
Tornando un attimo al pop surralismo e agli occhi grandi e a tutti quelli che non mi dissero che copiavano i Keane, anche proprio nel modo di vivere, cioè sposarsi e fare le cose identiche, oppure farle insieme. Prendi per esempio Sas Christian, che fa queste cose qui:
e prendi poi il marito Colin Christian, che fa queste cose qui:
Praticamente la stessa cosa (non fosse che Colin fa delle maschere giganti che dal vivo signora mia). Ma più di tutti mi sarei aspettato almeno una citazione dei Keane  da Marion Peck, che fa queste cose qui:
e dal marito Mark Ryden - quello che si può ben dire sia il più famoso pop surrealista di tutti - che fa queste cose qui:
E allora scusate se penso che qui il confine tra copia e influenza sia una discussione da prendere molto seriamente. Una discussione che poteva dare vita ad un film con maggiori sfumature di "lei è brava e buona. Lui è un ladro cattivone".
I coniugi Ryden infatti si sono - non so bene di seguito a cosa, probabilmente a qualche troll su FB - sentiti in dovere (e nella posizione, in effetti lo sono) di dire la loro sul film, questa:
The story of Margaret and Walter Keane as presented in the Tim Burton movie “Big Eyes” will no doubt be the one accepted by history. But it is important to remember that there is more than one side to any story. Margaret’s version, the one recounted in the movie, is very appealing. After all, women have been oppressed and taken advantage of by domineering men for a very long time. It is refreshing to think that the truth has come out, and a deserving female artist is finally being given her due credit. But a closer look at the paintings tells a different story, one that is more complicated.
There is no question that Margaret painted on Walter's paintings. Her handwork is evident in the faces, especially in the shiny eyes, of all those sad waifs. However, that does not mean that the paintings are "hers". A careful examination of the works made during their marriage reveals the participation of another hand. There are atmospheric pallet knife effects and painterly backgrounds that never again appear in her work after their divorce. Post- divorce, the color pallet changes and there is a shift of mood from sad to happy, which has been attributed to her religious faith, but the differences are more profound than that. The earlier paintings have a haunting quality, a tension, a kind of dark soulfulness that never shows up again. These early compositions are less “controlled” than her later paintings.
During their marriage, at the same time these sad children were being painted, Margaret was making her own paintings, all signed MDH Keane. The subjects of these works are mostly elongated pretty ladies with flowers or perfume bottles. They have a cool retro vintage feeling, but a kind of superficial surface "style". They lack the angst that imbues the other Keane paintings with power. Her hand, though skillful, is stiffer and tighter in her own paintings than in the ones that were attributed to him. This hand and palette are consistent with all the work she has done since. If Margaret is truly the “creator” of both of these bodies of work, she would have to have a split personality.
Margaret’s victory in court was based on the fact that during the legal proceedings over the authorship of the work, Walter refused to paint, claiming a sore arm, while Margaret was able to produce a painting before the jury. This seems to make the case clear, but all it really proves is that Walter was incapable of making the paintings without Margaret’s help. She had technical skills much greater than his. He could join a long list of artists, including Jeff Koons, Damien Hirst, Takashi Murakami, etc., all of who are not capable of making one of their paintings on their own. To the eye of a person who truly loves the early work of the Keanes, it is apparent that Margaret is likewise incapable of producing a proper “Keane” painting without Walter. Margaret’s paintings since the divorce lack a crucial spark. They almost seem like lesser “copies” of the early work. It seems that Walter was a creative, eccentric, and troubled person. It may well be that the entire theme of sad children was his vision after all, and it was the sadness, the pathos, that gave their big eye art of the 50's and 60's the haunting quality that made it a sensation.
-Mark Ryden & Marion Peck

Added by Marion Peck:
Hello, everyone. My name is Marion Peck. I am married to Mark Ryden. I co-wrote this post with him, but we posted it on his account because I really don’t like Facebook much, and never have participated in it. I am giving it a try now, because there are a few points about this story I would like to emphasize. To everyone who is saying “A man wrote this” etc., I would like to say no; I , who am a passionate feminist, wrote this too.
I would like to address something many of you are voicing, that Margaret’s paintings became “happier” because she escaped from an unhappy marriage.
During their marriage, she also was also producing a body of work freely and completely credited to her, in fact widely promoted for her by Walter, which shows no signs of sadness. Why, given the situation, would she let her “true” art, which reflected her real feelings, be credited to him, and reserve the “fake” stuff for herself? Perhaps qualities of “happy” and “sad” are not what we should be looking for in the differences between the early and late work, but subtler qualities of psychological power and depth as opposed to surface “style”. Margaret’s later work is, frankly, blander, more illustrative and superficial. This is not what happens to a person’s art when they get “happier”.
The truth of the Keane story no doubt lies neither in her side nor in his side. It is almost certain that the work that became famous was a collaboration between them. The movie does not show this at all. Of course, how this collaboration really worked itself out is a matter of opinion. Without a doubt Walter Keane embodies a Ron Burgundy style of character, who could not bring himself to admit that Margaret was an essential to the art that made him famous. And this is why we are all so eager to attack him. Quite possibly he deserves some of the derision that is being heaped upon him. But it is also possible that Margaret is not being honest about their history either.
A me sembra tutta una serie di mani avanti e dietro che fanno a gara. Ma di certo su molti aspetti (soprattutto sui personaggi tagliati con l'accetta) hanno ragione. Certo è che se vivi insieme e fai le STESSE cose un po' di attacchi te li devi aspettare.
Attenendoci al film, anche questa volta nulla di fatto per Brutton, che nonostante sembri finalmente libero dal giogo di Gionni (uno che invece non è libero dal giogo di se stesso idiota) e di Helena Bonahm (la presenza di Kristen Ritter nel film non me la racconta per niente giusta, ditemi se non potrebbe essere la prossima musa nonché moglie di Tim), non riesce a fare un film suo, suo veramente. E sapere che sta lavorando al seguito di Beetlejuice mi fa fare questa faccia qui:

Per festeggiare l'abbigliamento di Waltz nella sua prima scena ecco un favoloso poster di gente che veste righe fatto da Noelle Stevenson
[Clicca ma meglio ancora se vai qui].
Questa la canzone di Lana Del Rey per il film. La canzone mi piace.

Se Lana vince l'oscar si ride. Ridiamo noi perché lei porella con tutto quel botox non ci riesce più
Il poster effetto Droste mi piace più di quello ufficiale
Chiudiamo la pratica "big eyes/big lies" con un bell'illustraposter di Anna Benjamin da cliccare:

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