martedì 8 luglio 2014

Chiavi in mano

The Black Keys - Turn Blue
Trama: Andamento: Lento.

Lo aspettavamo tutti come i ciechi aspettano la luce e alla fine è arrivato, il nuovo album dei Black Keys, quel duo che dopo "solo" dieci anni di musica insieme era riuscito a fare il botto, grazie a Twilight (!). E, nonostante la via impervia con cui avevano raggiunto il successo, se lo meritavano, perché riportavano l'asticella del concetto di "rock" indietro di un bel po' di anni, quando non c'erano computer e fighetti con l'ultimo bottone della camicia a quadretti allacciata. E dopo aver conquistato il grande pubblico con El Camino, finalmente arriva Turn Blue. E già dalla cover sappiamo che i Black Keys sono tornati. Infatti è orrenda. Ma entriamoci dentro.
L'album non poteva iniziare meglio. Weight of Love è un capolavoro di attesa non disattesa, attesa che pervade tutta la canzone: ci si aspetta un'esplosione che non arriva mai, ma è l'attesa stessa a diventare ragione di ascolto, accompagnata da note soffuse che finalmente, dopo due lunghissimi (e bellissimi) minuti introduttivi, aprono con voce sicura e aperta un motivo che non se ne va più dalla testa, forse mai più. La canzone è lunghissima, una ballad con tutte le carte in regola per diventare un classico. Da colonna sonora di una grande piano sequenza scorsesiano, di quelli che presentano i personaggi all'inizio del film con il protagonista di spalle. Oserei dire tra le migliori mai scritte dai BK. "Sono tornati alla grande" si pensa durante tutto l'incedere di qui suoni ipnotici e di quelle poche, ma perfette, frasi che costellano un brano quasi del tutto strumentale.
Arrivano quindi In Time e Turn Blue e, senza avere la chiara percezione dell'esatta provenienza di quel fastidioso rumore (si direbbe uno scricchiolio) che si comincia a sentire, le due tracce passano con una certa tranquillità più che altro per il sapiente uso di un falsetto (in In Time) - a volte in effetti un po' troppo sul confine della terra Bee Gees - e delle imperanti chitarre (©Black Keys). Una sembra la continuazione dell'altra. Entrambe molto lente, entrambe sintomo di qualcosa che deve arrivare, che si sta facendo attendere, ma che ha dato così largo intendere che sarà qualcosa di favoloso da dare vita anche a ciò che lo procede.
E poi arriva. Arriva la canzone che tutti i dj nelle radio stavano aspettando, che tutti gli inserzionisti di Spotify stavano aspettando, che tutti quelli che scelgono le colonne sonore delle pubblicità della Champions League stavano aspettando. Arriva Fever, questa qua:

Insomma l'aspettavano tutti, e anche noi. E l'aspettavamo così tanto che al primo ascolto - ripeto e sottolineo: primo ascolto - già la sappiamo a memoria. È un bene questo? 
No.
La canzone, per carità, è l'apoteosi dell'orecchiabilità e della perfezione pop, e mi venisse un colpo se non dicessi che il pop è forma d'arte quanto la Classica e il Jazz (e io odio il Jazz), che rinnegherei le basi stesse della mia cultura, musicale e non. Ma insomma, ascoltando - e immediatamente canticchiando - Fever ti accorgi anche che i BK hanno fatto quello che in gergo televisivo viene chiamato il salto dello squalo: hanno messo i remi e le pinne e le zanne in barca e si sono messi a fare (sempre bene, percaritàddiddio) quello che sanno fare. Punto e basta. Come fecero da un certo punto in poi i Red Hot Chili Peppers, i Pearl Jam, Raul Casadei. 
A parte gli scherzi, non è questo il momento di dire che i BK sono finiti, anzi il disco svolge il suo compito di "disco dei BK" egregiamente, ma non c'è guizzo, non c'è invenzione, non c'è inventiva, ci sono solo i "soliti vecchi BK". Forse essersi persi i primi dieci di carriera non è stata una buona idea.
Il resto del disco, purtroppo, è in discesa: se Bullet in the Brain e It's Up To You Now riescono a interessare (non ho detto coinvolgere) per gli andamenti oliati e orecchiabili - da ascesa mistica il primo brano, da scomposta marcetta selvaggia il secondo - risultano anche dei deja vu, ma del tipo peggiore, perché mischiano un già sentito dei BK a un già sentito di "qualche altro gruppo che ora non mi viene in mente, forse anche i Jefferson Airplane".
Passano e arrivano quasi ad annoiare le ultime canzoni dell'album (Waiting On Words, 10 Lovers, In Our Prime) e chiude quella che forse è la peggiore canzone dei BK: Gotta Get Away, un titolo che forse è una dichiarazione d'intenti: una canzoncina dal riff adolescenziale che andrebbe bene per la colonna sonora di un seria tv pieno di ragazzini biondi su una macchina decappottabile con le braccia alzate che corrono verso la spiaggia assolata.
Un disco deludente. Ma, nonostante questo, stasera, noi romani, scordandoci di tutto quello appena scritto, saremo comunque esaltatissimi nel cantare a squarciagola tutte le loro canzoni e alzeremo il cellulare con l'app con l'accendino acceso quando scatterano almeno tre delle canzoni contenute in questo nuovo album, ma torneremo a casa con la fastidiosa sensazione - del genere "zanzara che ti vola vicinissimo all'orecchio" - che se fossimo andati a vedere i concerti dei BK di due/tre anni fa, quelli sì ci avrebbero fatto esplodere il cervello.



...



Ah! 
E qui vi volevo!
Allora non vi piace che si parli di musica eh!? Non ve ne frega niente ve'? AH! LO SAPEVO! Eravate venuti qui per leggere di cinema e "ma che cazzo è successo? Che s'è ammattito CB? Non mi si sarà mica a fare come nei siti generalisti che si passa dalla politica al culo di Belen con un click? Oddio ma poi se capisce di musica come capisce di cinema stamo a cavallo...". 
Be' lasciatemi dire che l'idea era di ricominciare dopo la pausa settimanale con la recensione di:
Human Race
Trama: Hunger Race 

Ma non ce l'ho fatta. Perché è un film così brutto, ma così brutto che.
Parla di gente che dopo aver visto un'abbagliante luce bianca (eh?) si ritrova in un campetto sportivo e deve correre. Se non corre, gli esplode la testa. Una sorta di Hunger Games dove non si capisce cosa ci sia di giocoso. La competizione diventa ovviamente massacrante. E quello con una gamba sola vince (che c'erano dei dubbi?). E cosa vince? Vince di vedere di nuovo la luce bianca e ritrovarsi in un deserto per combattere con un alieno tipo gladiatori.
Il fatto che il titolo Battle Royale campeggi sulla locandina di questa mostruosità è un crimine che andrebbe perseguito dalla legge.
Mostruoso.
Invece lo sai che cosa è VERAMENTE bello? Il CHICKEN BROCCOLI MAGAZINE!
Che per dirla in poche parole (in barba a chi, tra i tanti altri consigli che tutti hanno sentito il bisogno di darmi, peccato che troppo tardi) è:
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