mercoledì 7 settembre 2016

Amy no acido

Amy
Trama: Amy o non t'ami

Il talento, quello vero, il "dono", non guarda in faccia a nessuno. 
Quando arriva, puoi essere il "dodecagenito" di una famiglia di masai kenyota, il figlio di un raccoglitore di riso cinese, la figlia di un magnate dei pistoni in Arkansas, il "dono" arriva, ti si attacca al DNA e ti trascina in posti che non puoi sapere, dal Kenya finisci a studiare i vaccini in Brasile, dalla Cina arrivi a vincere un Oscar a Hollywood, dall'Arkansas ti ritrovi in Australia a presentare il tuo bestseller.
Oppure dalle periferie coatte di Londra vinci 5 Grammy battendo solo col tuo talento gente costruita a tavolino e in cima a una fabbrica di soldi come Beyoncé o Rihanna
Ovviamente è vero anche il contrario, puoi essere coglione in qualsiasi parte, famiglia, origine, ceto del mondo. Ma questo è un altro conto. Qui si parla di genialità, di incredibile e naturale propensione a qualcosa, qualcosa che magari nessuno ti ha insegnato.
E quel qualcosa, per Amy Winehouse, era il canto.
Il documentario - giustamente vincitore di un oscar lo scorso febbraio - è un perfetto montaggio di filmati originali, senza nessun orpello di fiction - e per fiction intendo anche le interviste, che sono comunque frutto di tagli, montaggi, possibili pilotaggi, magari anche inconsapevoli o in buona fede, ma pur sempre destinati a rappresentare l'idea del regista su questo o quel fatto realmente accaduto. Evita quindi l'errore grave perpetrato da quello dello scorso anno dedicato a Cobain.
È realmente accaduto che nello stesso momento in cui noi occupavamo la Terra, da qualche parte c'era anche Amy, che era un dono (alcuni direbbero di Dio, io, darwiniano, direi di un quasi irripetibile incastro di geni, cellule e tutte quelle altre cose che compongono un corpo umano). Un dono talmente grande che infatti, bum, morta, ciao.
Quando Amy cantava era Leonardo, era Caravaggio, era Einstein, era Mozart, era Maradona, era Kubrick, era ChickenBroccoli. Era IL genio umano regalato a tutti gli altri.
Sottolineo quando cantava, perché poi vivere era tutto un altro paio di maniche. 
Vedi Amy e sembra quasi di assistere a un contrappasso dantesco (n'antro genio de gnente): canti meglio di chiunque sulla Terra? Sei destinata alla sofferenza.
Il problema - sta per arrivare l'angolo della psicologia spicciola del Dr. CB - di Amy era la dipendenza. Era la dipendenza fatta persona: dalle droghe, dall'alcol, dalle persone, da tutto. Una fragilità così palese che sembra si potesse spezzarla con un mignolo. E ben altro hanno usato su di lei un padre che l'aveva abbandonata (solo abbandonata? C'è una scena, giusto un attimo, che instilla un dubbio oscuro...), per poi tornare, inventandosi pure manager, all'arrivo del successo, o peggio il marito, un imbecille di quelli veri, un vero Parassita con la vaffanculo maiuscola. 
Proprio come per Cobain e Courtney Love, se c'erano due persone che non dovevano incontrarsi, quelli erano Amy e quel cojone
La vittima e il carnefice. 
Poi certo, la vittima non è mai al 100% vittima, sono sicuro che più della metà delle volte era Amy a sbroccare, o a ricercarlo dopo ogni rottura. Ma, si sa, dove c'è il genio c'è la sregolatezza, e se vogliamo fare un esempio che veramente sembra non c'entrare nulla, non è colpa delle vittime di Wanna Marchi se erano credulone, è comunque colpa di Wanna Marchi che le truffava. Un film sul genio di Amy Winehouse e parlo di Wanna Marchi. Be', questa è la mia sregolatezza.

Però c'è questa epifania che impressiona e spaventa, quando conosci meglio la storia tra Amy e Blake: se non ci fosse stato lui, non avremmo avuto i capolavori di Amy. Incredibile, ma vero. Capire a cosa, a chi, si riferisce Amy nei suoi testi illumina la sua dipendenza, anche creativa, da Blake. 
Quindi che me stai addì che meglio così? Meglio che lei ha passato una vita di merda ma almeno noi abbiamo i suoi capolavori? Ma guarda a limite sì. Non fosse che l'amore che distrugge, quello che diventa dipendenza e ossessione, per quanto possa aiutare la creazione (sennç Goethe e tutto lo Sturm und Drang te lo scordavi bello mio), ma poi vedi come finisce: male, Sempre e solo e tristemente male.
Amy è un documentario "penoso" perché "penosa" è stata la storia di Amy. Il film diventa la cronaca di una morte annunciata, che sembra incredibile non aver potuto evitare, era così palese che sarebbe stato quello il finale. Possibile che nessuno, ma proprio nessuno (parenti, amici, produttori, medici, la polizia cazzo) abbia trovato un grimaldello, uno solo, anche piccolo, che la distogliesse da questo gorgo assurdo di malessere?
Un documentario però non sarebbe tale se non raccontasse la verità, e la verità è nessuno ha aiutato Amy, che sicuramente non era facile da aiutare, impossibile direi, ma se quella scritta sui muri è vera (Amami quando meno me lo merito. Sarà il momento in cui ne avrò più bisogno.), secondo me possiamo parlare di abbandono. E Amy è morta. Fine del film.
Ci ha lasciato queste:

E forse è già un miracolo, alla faccia del darwinismo.

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