mercoledì 14 settembre 2016

CB ANTEPRIMA • The Beatles - Eight Days a Week

C'è questa leggenda metropolitana per cui i critici cinematografici NON LAVORANO e allora si possono tranquillamente organizzare le anteprime dei film di mattina tanto che ci frega i critici NON HANNO ORARI DI UFFICIO e verranno tutti in blocco, mentre - BREAKING NEWS! - io LAVORO e HO ORARI DI UFFICIO (te credo, non sei un critico cinematografico tu, sento qualcuno dire nelle retrovie! Portatemi la sua testa su una picca!) quindi non sono potuto andare all'anteprima del documentario di Ronron Howard sui Fab Four a cui tenevo molto e a malincuore felicissimo ho dovuto mandare un altro al posto mio, questa qualcuna la chiameremo Vale.
Del giudizio di Vale mi fido tantissimo, ma soprattutto le dovevo dei favori quindi per sdebitarmi ripago in film, che bellissima moneta. Io lo accetterei uno stipendio per il fatto che LAVORO... nine days a week.
Vi lascio agli scarafaggi.
CB 

Eight Days a Week

Per chi, come me, è cresciuto a pane e Beatles l’uscita nelle sale del documentario di Ron Howard è una di quelle date che si segnano sul calendario: 15-21 SETTEMBRE. Nota bene: non fare come quella volta di “Montage of Heck” che alla fine hai dovuto vederlo online. 
No, non stiamo parlando di niente di simile alla storia di Kurt Cobain, ma il punto è che questa storia dei film-evento che al cinema stanno pochissimi giorni per me è una mannaia sul collo, è una fonte inesauribile di stress perché… e se mi ammalo? Se mi rompo una gamba? Soprattutto: se mi dimentico? 
Non potevo perdere “The Beatles – Eight days a week” al cinema. 
Per questo motivo, da più di due settimane, tormentavo ChickenBroccoli: «Se hai 2 inviti per l’anteprima, porta me, scegli me, THINK OF ME-ME-ME» [questo è uno spoiler ma non lo capirete mai]. 
E lui in effetti mi ha scelta, ma solo perché l’anteprima era di mattina e non poteva andare. Peggio per lui perché, se sei fan dei Fab Four ma per motivi anagrafici e geografici non li hai mai visti dal vivo, la storia dei loro tour dal 1963 al 1966 la vuoi vedere prima di tutti, that’s it. 
Se poi la promessa del documentario è quella di presentare video amatoriali inediti e interviste esclusive, non guardi in faccia nessuno anche se, per dirla tutta, i Beatles sono stati ben documentati su pellicola. 
Nel 1964 John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison hanno recitato nel finto documentario di Richard Lester “A Hard Day Night” e, solo un anno dopo, sempre Lester li ha buttati in trincea in “Help!”, per non parlare di quella meraviglia di cartone che è “Yellow Submarine”, di recente rimesso a nuovo. 
Non solo: la band ha chiuso la propria carriera con il film verità “Let it be”, l’impietoso documento del periodo più confuso e teso della loro storia, con tanto di concerto in pelliccia sui tetti della Apple C.L.. Quello che mancava, però, era proprio questo:

La sensazione di essere lì, allo Shea Stadium il 15 agosto del 1965, insieme ad altre 54.999 persone a strapparsi i capelli e, allo stesso tempo, sentire le canzoni meglio di come a suo tempo il pubblico riuscì ad ascoltarle. La verità è che in “Eight days a week” il lavoro dei filmmakers, che hanno migliorato sia le porzioni video sia quelle audio delle registrazioni live, è qualcosa di incredibile e già solo questo merita la fila al cinema. Anzi, quando farete la fila, consolatevi subito che QUELLA NON È NIENTE: per vedere un concerto dei Beatles dal ’63 in poi, voi non avete idea! 
La avrete solo dopo aver visto “Eight days a week”, insieme alla scoperta che anche le eyelashes possono essere sexy… incredibilmente sexy. 

L’altra idea che vi farete è che, in una società che stava cambiando radicalmente (e questo si vede nel film di Howard ma senza prendere mai il sopravvento, a mio parere, giustamente), per i teenager degli anni ’60 i Beatles erano un filtro per interpretare il mondo a dispetto dei genitori che consideravano la band “una minaccia per la società” [cit.]. 

Non si poteva scegliere modello migliore. 
I quattro ragazzi che ci racconta Howard mostrano una generosità infinita sul palco, insieme a una grandissima ironia fuori e un affiatamento premuroso come gruppo. Come dice lo stesso Paul McCartney, “we were kids, but we weren’t dumb”, e vedrete quanto lo dimostrano nel tour nel sud degli Stati Uniti del 1964. 
Come se questo non fosse sufficiente, malgrado fossero fabulous also on stage, i Beatles non erano “animali da palcoscenico”. I loro concerti non erano performance perché l’obiettivo non era quello di creare uno show o, in casi peggiori, un circo (come se ne vedono oggi negli stadi), ma suonare. Amavano la musica, Paul, John, Ringo e George, e non hanno mai recitato nei loro live: lo dice chiaramente Lennon “I am not an actor, I am a musician”. 
E c’è una bella differenza.

Nessun commento:

Posta un commento