giovedì 17 aprile 2014

CB ANTEPRIMA • Johnny Smemonic

Lunedì scorso sono andato all'anteprima di The Amazing Spider-Man 2 il nuovo film senza Johnny Depp. Ma sono andato anche all'anteprima di Transcendence, il nuovo film con Johnny Depp. E non è che mentre ero in sala a vedere l'arrampicaduri mi guardavo il pirata della rete su ipad, no, ero proprio in entrambe le sale contemporaneamente. Sì, esatto, CB santo subito e dono dell'ubiquità come bonus.
A parte le derive mistiche, è arrivato l'incredibile momento (lo avresti mai creso, quel giorno lontano del primo invito ad un'anteprima?) in cui due anteprime si accavallavano e tu eri nervosissimo perché non potevi beneficiare di entrambe e alla fine vince Emma Stone. Ma da bravo furbetto cinecritico che ci tiene che i suoi lettori siano sempre informati sulle uscite, ecco l'operazione che oserei chiamare subappalto Redazione. C'erano state delle avvisaglie, mesi e mesi fa, ovviamente progetto abortito perché Alabama scrive i pezzi più fichi di fumetti (cinema batte fumetti, comunque).. e chi potevo mandare a vedere Transcendence? Bombolo? Un bambino di cinque anni? Qualcuno che almeno si capisce cosa scrive? NO! Ci ho mandato Zvetkov! Dopo un'assenza di ben tre anni! L'unico che leggi senza capire un'acca ma che capisci che sta dicendo cose intelligenti e allora ti parte una specie di sfida personale del tipo "ma so scemo io o non si capisce un'acca?" e rileggi fino a capire che sì, era tutto molto intelligente. Dai che poi alla fine della recensione parte il dibattito. 
- CB -
Transcendence

La casistica delle costole d’autore in cerca di indipendenza cinematografica dal proprio mentore, o compagno ingombrante, è ben fornita. 
Roger Avary, un caso tra gli altri, dopo l’Oscar congiunto, per miglior sceneggiatura originale, spartito con Tarantino, si affossò dopo pochi passi, tentato prima dalla sua stessa vena criminale con Killing Zoe, passando poi a quello che si può considerare, visti gli incidenti di botteghino e di critica, un triangolo delle Bermude, ossia un libro di Bret Easton Ellis, Le regole dell’attrazione. Autore che, del resto, sembra arricchirsi sull’ingannevole facilità di trasposizione dei suoi lavori. Quelli che fanno esultare i malcapitati con esclamazione da pigri alla riscossa, su cui immancabili si abbattono severe sanzioni. 
Ed è forse la stessa ingannevole facilità, nonché evidente attualità, di un tema come l’intelligenza artificiale, che ha sedotto e abbandonato al suo esordio alla regia Wally Pfister, già direttore della fotografia pluridecorato sotto il batmantello di Christopher Nolan. 
Giusta punizione di una certa poco perdonabile ingenuità, che a volerla poi chiamare tale si rischia forse di peccare di altrettanta ingenuità. 
Il tema dell’intelligenza artificiale ha due modi principali per essere affrontato:
- In maniera intelligente, cosa che può in alcuni casi causare disturbi neurologici allo spettatore torturato dai dilemmi esistenziali, magari di una iperbomba fine argomentatrice dei capisaldi della filosofia cartesiana, vedi Dark Star di John Carpenter, o sinistre pulsioni ibride procreative, vedi Generazione Proteus. 
- Nell’altra, quando conquistati dalla fretta di sfruttare la rinascita più recente, di sicuro maldestramente spinta dall’avvicinarsi da tecnologie neuro sintetiche propiziatorie, ci si butta nella mischia, dove altri, magari, hanno aggirato la pura questione intellettuale della statuto della coscienza, scegliendo, con ispirazione accattivante e smaliziata, la capacità metaforica racchiusa nel tema tanto promettente. 

Purtroppo - ma poi perché - Transcendence appartiene all’incongruo assortimento sovraffollato di quei lavori in cui l’intelligenza tende a pestarsi i piedi, non di certo superata da una artificiale, livellatrice o omicida, ma in forma, appunto paradossale, in quanto se parli, ad esempio, di maestria gastronomica e poi sbagli puntualmente, quasi che si possa dubitare che non sia una semplice provocazione, a mostrare la preparazione delle ricette più elementari, significa, è chiaro, che qualcosa è andato storto, da prima che accendessi i fornelli.
Transcendece è un film sull’intelligenza artificiale che ci dice troppo poco su quello che dovrebbe dirci altrimenti volendo parlare, e non sapendolo fare, di intelligenza artificiale. 
Si veda interventi nel settore da parte di qualcuno come, titolo inaspettato da citare, Io e Caterina di Alberto Sordi, oppure titolo più compiacente e di tendenza Her di Spike Jones. Ecco se dovessimo affrontare una recensione, ed è un modo di farlo, non del tutto sconsigliato, mettendo in rapida parodia un altro titolo, potremmo anche dire che si tratta di Him con un attore di troppo, mentre in Her ce ne ritroviamo uno in meno, Scarlett Johansson ridotta alla taglia invisibile di una voce. 
Transcendence è, appunto, un Her con i superpoteri, con Johnny Depp travasato morente in un computer quantistico già in odore di coscienza malevola, incattivito dalle domande sciocche di Morgan Freeman, icona della serietà certificata, l’uomo Del Monte delle crisi funeste. Volendo omettere che il film, tolto l’impatto pubblicitario divistico di Johnny, che poi comunica a ben guardare un senso di disagio, col suo piano frontale che lascia sempre più intendere come Hollywood sia sotto l’attacco ottundente di una specie di epidemia di botolino (questo sì un bel film di genere ancora da sfruttare senza le morbosità immodeste e riciclate di un Antiviral, di Cronenberg figlio). 
Si diceva che tolto Johnny, cosa che il film tenta anche di fare, con una sorta di lucidità latente e intempestiva, facendolo risorgere in una sublimazione informatica della sua mente, una rivisitazione prolissa, per saccenza non richiesta e tempo invaso, del caro professor Shiba, padre digitalizzato di Jeeg Robot, Transcendence, per calibro stereotipato degli effetti speciali e regia scialba, si colloca, perfettamente a suo agio, nel genere di film opachi televisivi catodici, quando con logica implacabile da palinsesto i dirigenti paternalisti stimavano le virtù celebrali del telespettatore all’altezza di una scimmietta meccanica. 


Ma a voler trascendere e tener in sospeso quello che sembra solo la copertina fantascientifica di una storia sottostante più importante e decisiva, cosa che del resto pretende pure di essere, ossia dell’amore che resiste oltre i supporti in cui gli uomini si riversano in cerca di una qualche forma di immortalità, ma già detto così è troppo rispetto alla trama genuina, il film manca proprio di questo. Manca l’amore, prima di tutto con cui è fatto, o non è fatto, a ognuno la sintassi che preferisce, manca la credibilità avvincente di un duello tra uno dei sentimenti più dibattuti della storia, che scavalca gli organismi e le macchine deglutite da organismi sublimati, la mente di Johnny trapiantata nel silicio, e il mutamento radicale di indirizzi morali che comporta, sembra, la perdita, in certa misura, della propria umanità, quando si acquisiscono potenziamenti evolutivi tali che potremmo far piovere polpette, quello sì un altro bel titolo.
Fine...  cosa dire se non: 

Eh?

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