lunedì 7 novembre 2016

CB ANTEPRIMA • Oasis: Supersonic

Continua a girare questa leggenda metropolitana secondo cui i critici cinematografici NON LAVORANO e quindi va benissimo fare le anteprime di pomeriggio, appena dopo pranzo, o ancora meglio addirittura DI MATTINA! DI MATTINA!!! C'È GENTE CHE FA COSE LA MATTINA!
E invece, se non vi fosse arrivata questa notizia, il sottoscritto dalle 9 alle 18 se gli dice bene sta al chiodo fisso (cioè, il secondo chiodo fisso...) in ufficio a mandare avanti il mondo e dalla sua postazione guarda con sdegno tutti quelli che pubblicano le foto con hashtag #anteprimafichissima #dimattina #noisìetuno #vivetraromaenewyork
Per rispondere a cotanta rosicata, ho deciso che quando mi invitano alle anteprime mattutine, porgo l'altra guancia e le REGALO! Dove per "regalo" vuol dire ovviamente "ci vai  al posto mio ma DEVI scrivere una recensione". E quando CB chiama, Vale se si tratta di documentari su gruppi musicali inglesi che hanno cambiato la storia della musica, risponde. Peccato che l'altra volta era vero... questa sul fatto che hanno cambiato qualcosa avrei da ridire e da ridere... tipo questa: meglio i Blur.
Vediamo com'è questo documentario forse un po' prematuro sugli Oasis, che non sono i succosi succhi di frutta ma il gruppo di fratelli monocigli che litigavano sempre tra un disco e l'altro. 
CB
Oasis: Supersonic

Ricordo bene chi mi ha messo in mano la cassetta con Wonderwall. Eravamo al liceo e Barbara ed io condividevamo tutti gli ascolti musicali. Funzionava così: una delle due comprava il cd originale e poi registrava la cassetta per l’altra, realizzando un prodotto personalizzato, come si usava negli anni Novanta. Eravamo tutti writers all’epoca e le cassette erano piccoli capolavori a china che ricalcavano i font che vedevamo in giro. Per dirla tutta, non li chiamavamo manco font ma “scritte”, perché né io né Barbara avevamo il computer e studiavamo latino e greco, mica Illustrator. 
In nome della cassetta di (What’s the story) Morning Glory tutta “ricamata” dalla mia amica del liceo, prima di parlare di Oasis: Supersonic di Mat Whitecross, vorrei chiarire subito un paio di punti sugli anni Novanta perché ci sono testimonianze che, nella stessa galassia in cui viviamo noi lettori di CB, esistano esseri umani che potrebbero non averli vissuti. Si dice pure che questi “esseri” sarebbero ora grandi abbastanza da poter andare al cinema da soli a vedere il film – chi è nato nel 2000 oggi ha 16 anni, roba da perdere il lume della ragione proprio! 
A quelli – e a tutti gli altri alieni nel mondo- vorrei dire che negli anni Novanta tutto era unico. Unico vero, non UniqLo. Per dire: se andavi a Londra e compravi una camicia o una felpa, potevi avere la certezza che, una volta tornato a Roma, ce l’avevi solo tu perché H&M, Pull&Bear, Zara e compagnia bella non c’erano. C’erano invece i punk, e a Roma si vestivano dal Bacillario. 
Non tocchiamo neanche l’argomento musica perché quello che portavi dall’Inghilterra forse in Italia non sarebbe arrivato mai. Se oggi trovi tutti gli album possibili immaginabili online e puoi ascoltarli anche in streaming, negli anni Novanta “dovevi esserci, dovevi andare al concerto o comprare l’album. Non potevi seguire gli eventi su internet o vederti il concerto con calma, quando avevi tempo: dovevi esserci e basta”, come dice Simon Halfon, un vecchio amico dei fratelli Gallagher, nonché fan degli Oasis dalla prima ora. 

Quindi, quando ho letto dell’uscita di un documentario musicale sugli Oasis, speravo che avrebbe riprodotto quella unicità e, come per Eight days a week, ho tormentato ChickenBroccoli per mandarmi all’anteprima mattutina al posto suo. Tanto vale che lo dica subito: secondo me, il documentario di Whitecross non riesce in quell’intento pur avendone tutta l’intenzione. Per questo motivo, meriterebbe un broccolo ma, dopo averci pensato molto, credo che Oasis: Supersonic meriti comunque di essere visto. 

Sì, perché quell’unicità a tratti si respira. Ad esempio quando, di ritorno dal concerto a Glasgow grazie al quale – e forse grazie anche a qualche pinta di troppo - gli Oasis vennero scritturati dalla Creation Records, Noel Gallagher ricorda: “Even if no one will notice it, this is happen” e il suo pensiero ha un sapore epico. È il 1994, Noel non ha né Facebook, né Twitter per sbandierarlo, non ha nemmeno il cellulare per dirlo con una telefonata alla mamma che lo aspetta alle Council Houses di Manchester, eppure, “even if no one will notice it”, la band dei fratelli Gallagher da quel momento in poi, non avrebbe fatto altro che crescere, fino a radunare nel 1996 un pubblico di 250.000 persone a Knebworth.
Oasis: Supersonic di Mat Whitecross è il racconto di questa ascesa e del burrascoso rapporto dei due fratelli che l’ha caratterizzata. Attraverso un lavoro a tratti un po’ insipido di tagli e cuci di fotografie e di testimonianze si sobbalza insieme alla frase “I don’t give a fuck”, la più ripetuta in assoluto del documentario, e si seguono gli Oasis dagli esordi nel 1991 al 1996 con i loro continui alti e bassi. A ogni alto (una canzone ben riuscita al Boardwalk di Manchester dove la band provava ai suoi esordi) segue un basso clamoroso (la rissa collettiva sul traghetto per Amsterdam, città in cui i giovanissimi Oasis avrebbero dovuto esibirsi insieme ai Verve, con conseguente reclusione in prigione e annullamento del concerto). A ogni momento di complicità (Liam canta le canzoni scritte da Noel dopo averle sentite intonare una sola volta dal fratello) segue un momento di litigio fragoroso tra i fratelli in cui volano bottiglie e televisori dalle finestre di studi di registrazione o di hotel.
Che la band fosse destinata a sciogliersi, insomma, nel film lo capisci da mille segnali e, se proprio non lo sai, lo intuisci dal montaggio in cui le voci narranti di Liam e Noel si alternano senza mai intrecciarsi, neanche un botta e risposta tra i due, neanche una risata. I fratelli Gallagher non si parlano più da anni e su questo Whitecross non può fare nulla. Può solo riportare sullo schermo la dichiarazione di Noel: "Siamo come cane e gatto. Io sono un gatto, indipendente. Liam è come un cane, che continua ad assillarti: gioca con me, gioca con me! Gli serve compagnia”. 
Io a questa storia che nella vita o sei cane o sei gatto ci credo e, per cento cani e gatti che vanno d’accordo, ce ne sono sempre mille che si mozzicano, esattamente come i due fratelli. Ma va riconosciuto che è un fatto abbastanza unico farlo e poi arrivare a suonare dal palco di Knebworth come hanno fatto loro. E questo poteva accadere solo negli anni Novanta. 

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