venerdì 1 marzo 2013

Neorealitysmo

Reality
Trama: Grande Fardello

Dietro Reality di Matteo Garrone si nasconde lo stesso stimolo che spinge gli sceneggiatori di Black Mirror - non casualmente posizionato ieri - a raccontare storie di estremismo tecnologico, annullamento di personalità, fuga dalla realtà, corse dietro falsi miti.
Reality è la storia di tutti quelli che si mettono in fila nei centri commerciali, nei parchi acquatici, nelle discoteche in ogni dove per fare i provini del Grande Fratello, e sono tanti, tanti quanti non si possono neanche immaginare. Sono di quelli che non ce li hai mai amici su FB (come quelli che votano B.) ma che invece esistono, e sono più numerosi di te e dei tuoi amici di FB.
Il Grande Fratello è stato il programma che ha sfondato il "Muro del Sono", una Novità vera in panorama televisivo fatto di quiz e Sanremo. Il primo GF lo abbiamo visto TUTTI; e sfido chiunque anche quello che si sente il più lontano dai miti televisivi di voi a dire che non ha visto la prima serie, quella con Taricone, il pizzettaro biondo, Marina la rosa in perizoma e gli altri. 
Poi, sotto i nostri occhi, inesorabile, la distruzione programmatica dell'Io, perso dietro il falso mito del successo, del "ce l'ho fatta"... ma a fare cosa? Cosa?
Eppure vorrei seguire le orme di Garrone che riesce, in un film bellissimo e terrificante, a non giudicare MAI chi a quel falso sogno ci crede, riesce a non puntare mai un dito moralizzatore verso chi vive più vita in quella Casa che nella sua casa vera, riesce a raccontare, e basta, chi vive le vite altrui scordandosi la propria.
Fino ad un certo punto, poi, c'è anche da capire il germe che fa nascere la fascinazione per la "bella vita" da star. Se non avessi anche io il fascino del personaggio famoso (nel mio caso gli attori, neanche i cantanti vi dirò, ma gli attori, quelli sì) non starei qui ogni giorno a vedermi un film, a commentare gli oscar, a cercare gif di gente triste perché ha perso un premio. Ma c'è realtà e realtà. E proprio come Garrone non vorrei giudicare; per una volta non voglio salire sul mio solito piedistallo e dire "Coglione, ma ti pare che vai/guardi/parli del Grande Fratello. Sei proprio coglione."... perché alle volte penso che forse, forse hanno ragione loro. Sono meno complicati in fondo, sono contenti perché hanno votato quello nominato e quello è uscito che "meno male lo odiavo". Non si fanno tutte le mie paranoie, loro hanno la serata in discoteca col personaggio famoso e se va bene ci rimediano la foto insieme.
Per fortuna lo penso solo alle volte.
Però mi preme non fare questo errore, anche perché io, Ciebbì, sono il PRIMO della lista quando c'è da lobotomizzarsi di fronte ad un reality. Mi è capitato tempo fa, ero in una casa con TV (vi ricordo che, per grazia ricevuta, io non ho la TV) e non appena è iniziato Malattie Imbarazzanti io mi sono scordato anche il mio nome, mi sono scordato di quello che mi circondava (ed era una cosa molto bella), mi sono lobotomizzato; fine, mi interessava solo sapere come aveva fatto la signora a risolvere quell'orrendo disturbo imbarazzante, forse ci aveva pensato il Boss delle torte.
Reality, pur essendo un film che parla di televisione, e ce n'è da dire, non scordiamoci questo, ad esempio) è il cinema italiano possibile, quello fatto di tutto il passato grandioso che il cinema del Bel Paese (ora non più) ci ha lasciato in eredità: il Neorealismo, la commedia all'italiana, i caratteri e le maschere, la risata tragica, i Mostri, gli attori presi dalla strada, la realtà su pellicola, l'Italia.
La scelta partenopea dell'ambientazione non è casuale, il protagonista, Luciano, un Pulcinella triste -, la cui storia personale reale, tralaltro, si rivela fondamentale per la resa incredibile di imbarazzo e tristezza, Aniello, l'attore, è infatti un ergastolano condannato per un omicidio di Camorra compiuto negli anni Ottanta che si è avvicinato al teatro in carcere - è semplicemente perfetto per l'iperrealtà quasi lombrosiana del suo vito, una maschera naturale senza bisogno di maschera sul viso. 
Ed è bravissimo, come d'altronde tutto il cast, tra professionisti e non. E proprio come nel Teatro dell'Arte, i caratteri sono Noi, gli attori sono il pubblico, la fusione tra realtà e palco è totale, le differenze impercettibili, proprio lo stesso rapporto che si crea tra i protagonisti di un reality e i suoi spettatori. E Napoli, contemporaneamente, è una gigantesca "casa", una città assestante, quasi uno Stato a sé, che crea miti che non vanno al di fuori dei confini campani, a volte cittadini, a volte rionali. Non poteva esserci altra città a rappresentare il "calore" umano esagitato e al tempo stesso spietato, fatto di "partecipazione" totale e poi più completo abbandono. La deriva folle del protagonista è una spirale in cui in qualche modo potremmo cadere tutti, perché i lustrini della celebrità brillano fortissimi, sempre.
E il cerchio (circo) del film si chiude: nella prima scena la cinepresa parte dal cielo e plana sul viso di un Luciano ancora savio, nel finale, la cinepresa vola via, portandosi dietro ogni  barlume di lucidità del triste protagonista di una storia possibile, presumibilmente ispirata a fatti reali, anzi, reality.

3 commenti:

  1. Le Belle Recensioni.
    -Antonio

    RispondiElimina
  2. dove oh? dimmi dove si trovano che ci vado :D

    RispondiElimina
  3. Qualcuno sa dove trovare i sottotitoli??
    Il film non è in italiano e nn capiscoil 90% delle cose... Ho trovato solo quelli inglesi ma mi sembra un controsenso...

    Scusatemi ma sono un povero bauscia :)

    RispondiElimina