martedì 6 ottobre 2015

Branco nel buio

The Wolfpack
Trama: Pulp Non-Fiction

Ci sono i film. C'è il Cinema. Ci sono le persone. Ci sono le storie.
A volte tutte queste cose si mischiano e diventano documentari. Un documentario racconta una vita o un fatto, quindi l'unica invasione che la finzione fa nel reale è la documentazione filmica, il montaggio del materiale girato. Un documentario cerca riprese quanto più "celate" possibile di alcune storie che, vuoi perché sono più incredibili della realtà stessa,  vuoi perché sono fatti storici o di cronaca, meritano di essere raccontate in un film.
Ci sono però delle volte in cui film, cinema, vite, persone, storie, cronaca diventano un tutt'uno carico di una potenza comunicativa unica, come uniche sono alcune occasioni e alcuni incontri. Tutto questo dà vita a documentari unici, come questo.
Basta scrivere la storia in poche righe per accendere la curiosità di chiunque: 

questi sei fratelli hanno vissuto chiusi in casa, in un appartamento di New York, per tutta la loro vita. Asserragliati nelle poche stanze da genitori troppo apprensivi e palesemente turbati mentalmente - se non proprio paranoici, direi pazzi - i sei (i cui nomi sono antiche divinità induiste: Krisna, Jagadesh, Visnu, la sorellina più piccola, Govinda, Bhagavan, Mukunda, Narayana) non sono mai usciti e tutto quello che sanno l'hanno imparato dai film.
Ma non si limitano a vederli, i film, i sei infatti li imparano a memoria e, costruendosi dei costumi montando scatole di cereali e ritagliando tapettini da yoga, ne riproducono intere sequenze. Tra i loro film preferiti Pulp Fiction e Le Iene (il loro preferito in assoluto, perché permette a ognuno di avere un ruolo importante)

The Dark Knight
Ma anche classici come Quarto potere e Via col vento.
I sei stilano classifiche

riscrivono le battute, le citano, ridisegnano le locandine

vedono film a ripetizione...
Oltre a ricordarmi "qualcuno", diventano in pochissimi minuti persone di cui vuoi sapere tutto.
Questo è un documentario speciale. Di quelli che capitano raramente perché non raccontano storie già balzate agli onori della cronaca (mi viene in mente quel Man on Wire, che pur essendo splendido, poteva contare su chili di materiale e ore di materiale video), qui siamo dalle parti del colpo di fortuna, fortuna che devi saper cogliere se sei un documentarista (come Catfish, per esempio): la regista notò i sei in metropolitana, tutti vestiti uguali, con gli occhiali neri, sembravano proprio Mr. White, Mr. Pink, Mr. Orange e soci. 

Li ha conosciuti e ha scoperto la loro incredibile (e penosissima) storia.
Già, perché non c'è nessuna vena goliardica nel loro ricreare i film, non c'è divertimento nel vederli preparare costumi, pistole finte e scenografie, le uniche sensazioni sono pena, compassione, commozione. E rabbia quando appaiono il padre e la madre, artefici consenzienti di sei menti spezzate, sei ragazzi interrotti, che non conoscono un'infanzia, che hanno palesemente maturato derive sociopatiche e ossessive (sperando solo per i film). Il mondo fuori è cattivo, ci sono omicidi e aggressioni, meglio stare sempre in casa, la società va combattuta. Questo il credo del padre

la cui unica "legacy" è la passione per il cinema. 
La storia di Wolfpack - il branco - è la dimostrazione che dove l'uomo può distruggere, il cinema (inteso come la fantasia, l'immaginazione) può costruire. Quello che i genitori hanno devastato, il cinema ha salvato.
The Wolfpack è un film che, attraverso la storia di sei spettatori poco comuni, fa il punto su un tema fondamentale quando si tratta di cinema, sottolinea in maniera profondissima la responsabilità che hanno i registi, che ha il cinema.
Immagino Quentin Tarantino o Christopher Nolan vedere questo film e entrare in un abisso mentale pensando che la loro opera di creatività è entrata così prepotentemente nella formazione deviata di questa famiglia. Forse esagero e ovviamente nessun regista può lavorare pensando che da qualche parte del mondo ci sono sei bambini che crescono dentro un appartamento/prigione e non possono fare altro se non guardare film.
Ancora più speciale The Wolfpack è reso dalla grande quantità di filmati d'archivio che ci raccontano stralci di vita passata, quando i sei erano poco più che bambini, ripresi dal padre e dalla madre borderline.
Per fortuna - proprio come in Kinodontas - film che adesso assume un aspetto tutto nuovo - lo spirito delle persone non nasce dall'educazione che ricevono, e le aspirazioni, i sogni, la voglia di vita non la puoi spezzare mai. Esempio lampante è Mukunda, che già anni prima delle riprese, quando aveva 15 anni, scappò per le strade... peccato che lo fece vestito da Mike Myers.
Amano gli horror, i ragazzi:
L'arresto e l'internamento per alcuni giorni in un ospedale psichiatrico furono le consequenze. Viene da chiedersi come funzionano i servizi sociali americani...
Tornando alle responsabilità del cinema. Anche la regista di responsabilità ne ha molte, la più grande ovviamente è quella di aver realizzato un sogno dei sei ragazzi, essere finiti in un film e poter continuare a intepretare, questa volta da protagonisti, i loro film preferiti

ma certo c'è anche da considerare che, una volta scoperta questa verità sicuramente stramboide e deprecabile (la sorellina Visnu è ritardata, il padre alcolizzato, la madre palesemente sciroccata, i ragazzi subiscono una repressione psicologica conclamata, e, nei meandri di alcuni sguardi e scene, anche se la cosa non è mai esplicitata, viene da chiedersi come questi adolescenti hanno vissuto le loro naturali pulsioni sessuali) la regista abbia, come dire, messo da parte il suo lato umano a favore di quello di filmaker che, fiutata una storia pazzesca, ha preferito non fare nulla se non riprendere i fratelli. Qui una sua chiacchierata interessante.
Certo, col senno di poi ha fatto più bene che male per questi fratelli, è stata a tutti gli effetti l'elemento esterno che ha scardinato quella routine folle, che ha convinto alcuni dei fratelli a liberarsi da quella subitanza psicologica e domestica, intanto tagliandosi quei capelli lunghissimi (i capelli sono sempre un simbolo di ribellione); ma se il progetto non fosse andato in porto? Se ad un certo punto fosse finito tutto senza diventare davvero un film? Domande senza risposta, ok, quindi inutile farsele.
L'unica risposta che dà il film è che il cinema è  
Uno dei film dell'anno. 
Per chi ha già visto il documentario ecco una sorta di "che fine hanno fatto"

e una foto che da sola basta per ricordarci il motivo fondamentale per cui demandiamo al Cinema una così grande parte della nostra vita, della nostra attenzione, del nostro amore.

Un'immagine che testimonia, ancora una volta, il motivo per cui il Cinema, anche se tu non lo sai finché non vedi un documentario che te lo racconta, cambia la vita di alcune persone, e forse ha cambiato anche la tua.
La mia di certo.

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