mercoledì 18 giugno 2014

CB ANTEPRIMA • Synecdoche, New York

È successo che lo scorso mercoledì mi hanno invitato all'anteprima di Synecdoche, New York. Ci ho pensato un attimo su, ho guardato il calendario e ho notato che no, non eravamo nel 2008, ma nel 2014, e, triste per essermi ricordato che Philip era veramente morto e non era una sceneggiatura di Kaufman, ho iniziato a pensare a che strana e misteriosa cosa è la distribuzione, a ragionare sul fatto che un film uscito otto anni fa raggiunge ora le sale - forse proprio perché Philip è morto, infatti sulla locandina ci scrivono "il testamento di Philip Seymour Hoffman", quando di film ne avrà fatti almeno altri dieci dopo. E insomma, perso in questa scatola cinese di ragionamenti profondissimi, sono andato a vedere Edge of Tomorrow.
MA! Siccome all'anteprima donata non si guarda in bocca, ho raggirato assunto un nuovo collaboratore. Dopo aver letto diversi CV, aver cestinato tutti quelli che non avevano allegate foto di tette, la mia scelta è caduta su Roberto Goniometro (non chiedete. non. chiedete.), che è andato a vedere il film e ha scritto quanto segue. Voi preparate il cervello che qui siamo dalle parti di gente che scrive saggi su Gramsci, che non è una razza mutata di Gremlins.
Strani questi tempi, no? Inviti doppi, anteprime subappaltate, nuovi collaboratori, robe che bollono in pentola e speriamo di scolarle prima che diventino scotte. Ma mica me stai addì che CB sta diventando una cosa seria?! Non famo scherzi eh! - CB - 
Misterioso edificio a Manhattan
Trama: In quanto a pippe mentali, Pirandello mi fa una pippa.

Avvertenza: Synecdoche, New York non è un film adatto ai leggeri di cuore.
Nota preliminare: Synecdoche, New York è un film serissimo, per questo CB ha scelto me come inviato all'anteprima. Non c’è persona più adatta, dal momento che il mio nome di battaglia è CPU (Con Poco Umorismo).
Ancora una parola: In giro ci sono recensioni dettagliate, approfondite ed enciclopediche (come questa), perciò è inutile starne a descrivere i dettagli, la profondità e il significato. Fosse per me, mi limiterei a raccontarlo con giochetti tipo questo: «Questa finzione è una finzione è una finzione è una finzione». Ma devo guadagnarmi i miei 1000 euro (10 euro n.d. CB) (facciamo 500 e non se ne parla più) (10 euro non un centesimo di più n.d. CB) (Ok, ma ti becchi i refusi e i link li sistemi tu) (Ok n.d. CB) trenta denari.
C’è questo Charlie Kaufman (è nato il 19 novembre del 1958, chissà se il suo oroscopo dice qualcosa a proposito di tagli di capelli che neanche Garfunkel di Simon & Garfunkel), sceneggiatore talentuoso (alcuni di voi lo ricorderanno per documentari del tipo Being John Malkovich, Adaptation, The Eternal Sunshine of a Spotless Mind, che gli è costato pure un Oscar), che una bella mattina chiama Hollywood e trova occupato. Lascia un messaggio criptico («Ho trovato un modo per la rappresentazione»). E quando Hollywood lo richiama per avere spiegazioni dice: «Ciao Hollywood, ho scritto un film sulla vita, sulla vita di tutti».
E Hollywood risponde: «Interessante! E come va a finire?»
E Charlie: «Be’, muoiono tutti».
Dev’essere andata più o meno così. Solo che era agosto, ed erano in ferie quei tizi che secondo la leggenda hanno imposto a Ridley Scott di montare in Blade Runner le riprese aeree di Shining per ridare luce e speranza a un finale troppo depressivo, e insomma Hollywood mette in mano a Kaufman i soldi per fare un film da regista. Che è, a pensarci bene, un po’ come dire a quel tizio, di cui non ricordo il nome, quello che ha inventato il cubo di Rubik: «Ok, adesso realizzami un dodecaedro di Rubik». Capolavoro! Il rischio è che al pubblico possa risultare quantomeno pesante.
E cosa ti fa Charlie Kaufman, tesoro di mamma? Un film che è un pugno nello stomaco, sulla paura della malattia e della morte, sul senso della vita e della morte, sul rimpianto e il peso dei ricordi, sullo sgretolamento dell’identità, sull’invenzione e la reinvenzione della memoria, sulla decadenza dei corpi, sull’incompiutezza e sulla fine dell’esistenza umana. Mette insieme una roba che basterebbe per un carnevale di Rio Zombie. E tutto questo sullo sfondo di una rappresentazione teatrale del mondo intero (di New York intera – cfr. il titolo: la parte per il tutto, l’autore per l’opera, il singolare per il plurale ecc.) (Questa me la ricordavo dal liceo, non c’era bisogno di wikipedia). Un film metapirandelliano (c’è forse un omaggio a Sei personaggi in cerca d’autore nell’incontro tra padre e figlia nel peep show? Ah, dici che l’ho notato solo io?), un film che se fosse un dipinto sarebbe quello di Escher delle due mani che si disegnano a vicenda, un film che se fosse una canzone sarebbe questa, un film che se fosse un colore sarebbe bianco (guardatelo fino alla fine e capirete).

 È dura in effetti seguire Caden, un fallimento di uomo, con i nervi a pezzi (ha la psicosi e pure la sicosi), vincitore di un miracoloso e milionario premio MacArthur per il suo genio teatrale, seguirlo mentre come regista dirige un attore che interpreta un regista che dirige un attore che interpreta un regista che dirige un attore, mentre quell’attore ha una storia con un’attrice che interpreta un’assistente che interpreta un’attrice che interpreta un’assistente che al mercato mio padre comprò. Ovvio che a un certo punto i livelli di realtà si intersecano con molte brutte sorprese (SPOILER: esattamente come nella vita reale). Ovvio che a un’idea di terza dimensione così cervellotica il pubblico preferisca il 3D digitale di Avatar…
Interruzione: Volete un’altra sinossi della trama? Eccola: «Ci sono milioni di persone, e nessuna è una comparsa, ciascuna è protagonista della propria vita». Grazie. Prego.
Un’altra, l’ultima: «Tutto è tutto, ognuno è tutti». Ah-ah, e che mi significa? Che la vita è troppo complessa, articolata, difficile, personale, e che l’unica opera d’arte in grado di renderne appieno tutte le sfumature è un’opera d’arte che coincidesse con la vita stessa. Una tautologia, un’utopia irrealizzabile.
La prima volta che lo vidi (tre anni dopo l’uscita, perché il film è del 2008 e in genere io vedo le cose con molta calma. Per esempio ho visto ieri l’episodio pilota di Mad Men. Sembra interessante, ve lo consiglio) mi colpirono le architetture di questo sogno elefantiaco e soverchiante, questa New York ricostruita tutta intera nel teatro di posa e animata dalle indicazioni di regia per centinaia di attori appuntate su fogli volanti da un regista-dio imperfetto. Ecco, appunto: la creazione di Caden è un tentativo di creazione divina della realtà, che finisce per avvolgersi su se stesso, andando in corto circuito. Non ci sono effetti comici (neanche in questo). 

L’universo semplicemente gli sfugge di mano, si autoriproduce, si espande, si logora e si corrompe, perché non è Dio ad animarlo, ma un uomo, e l’uomo non è infinito, è finitudine. È questa la distanza incolmabile tra l’uomo (anche l’uomo creatore, l’uomo artista) e Dio.
Dopo averlo rivisto adesso (cioè 6 anni dopo l’uscita, in occasione di questo dignitosissimo rigurgito di interesse che lo porta nelle sale italiane), a colpirmi sono state le devastanti scene iniziali, sul declino di un uomo che è già morto (Caden, appunto). E merita una citazione la strepitosa, commovente, toccante Dianne Wiest, che letteralmente pronuncia la fine del film. (A proposito: alzi la mano chi può dire con assoluta certezza di che sesso sia il protagonista di questo film. Nessuno, eh?).
Non basta? Volete altre tre ragioni per vederlo?
1. Philip.
2. Seymour.
3. Hoffman.
Il gigione di Radio Rock, il timido al capezzale di Magnolia, il controverso Truman di Capote, il carismatico capo della setta di The Master, qui è in splendida e rotonda forma: si ammala, deperisce, invecchia e muore molto molto anziano. 

Tutte cose che la realtà ci ha negato, e che rimpiangeremo.
Un’amara conclusione: Muori. Ci rivediamo tra milioni e milioni di anni. (Forse).
Un inutile P.S.: Ho lasciato anche io un messaggio in segreteria a Hollywood, questo: «Ciao, sono Roberto Goniometro, chiamo a nome di CB. Mi dici una cosa in confidenza? Giuro che non lo dico a nessuno. Ma perché la casa di Hazel brucia? È un’idea di quel mattacchione di Gondry? Ok Holly, fatti vivo, che andiamo al cinema insieme mercoledì (costa meno)».
Una chiusa inaspettata: Ho trovato anche io una locandina niente male (solo che non so attribuirne la paternità…).
Tutto chiaro? Bravi. Io per distrarvi dal fatto che ormai gli articoli dei collaboratori sono più belli di quelli del direttore vi metto una serie di bei ritratti illustrati di Phil. Di certo la perdita più pesante (e non è sarcasmo) degli ultimi anni.

1 commento:

  1. ho visto ieri l’episodio pilota di Mad Men. Sembra interessante, ve lo consiglio. Ahahah, ciebbì mi fai morì.

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