martedì 17 settembre 2013

Centro di gravity permanente

Gravity
Trama: La gravity della situazione

Alfonso Cuaron (oltre alla parentesi potteriana, comunque affrontata con uno stile personale, tanto che poco piacque alla produzione, che riparò da quel momento in poi su registi asserviti al maghetto) non è nuovo a virtuosismi registici da capogiro, basta pensare ai due celebri piani sequenza de I figli degli uomini:
In Gravity questo  virtuosismo stroboscopico è spinto ai massimi sistemi, va proprio in orbita (quanto ci stava bene dirlo?): fate conto di essere una piccolissima goccia d'acqua, liquidi e leggeri, un granello di pulviscolo, un soffio d'aria, e di essere messi in un giroscopio che si muove a 360° lanciato alla velocità della luce, voi stessi non avete punti di appoggio e non potete aggrapparvi a nulla, su diventa giù, qui diventa lì, la gravità un concetto relativo, ecco lo spettatore secondo il cuaronpensiero:
E la deriva registica è tra le più impressionanti mai viste; piani sequenza infiniti, passaggi interdimensionali (si esce e si entra dalle tute spaziali con gran facilità), punti di vista sempre diversi, fanno di Gravity un film grande, non un grande film, questo no - ha alcune piccole scivolate di sceneggiatura forse messe lì per evitare commenti del tipo "un favoloso documentario NASA" e qualche pleonastica (seppur intensa) scena di troppo, parlo ad esempio di questa:
Che quel grembo tecnologico, cordone ombelicale compreso, lo vedete da voi che è un po' "facile"... e in generale di alcuni passaggi un pochino ridondanti, anche se non propriamente "americani"; ma comunque sa regalare una spettacolarità talmente unica che il cervello alle volte fatica a processare quello che l'occhio vede, ci si sente quasi di avere un sistema operativo un po' vetusto, assopito da effetti speciali sempre un po' uguali, oppure votati solo alla "fracassoneria" piuttosto che al realismo cosmico in cui galleggia Gravity, un film in cui la Terra è inquadrata perennemente da quel punto di vista riservato a pochi eletti, gli astronauti, che paccendono sogni in un cervello bambino che guarda su e dice "da grande farò l'astronauta" ma che, visti con i filtri (sporchi) mentali di un adulto, fanno veramente un lavoro allucinante, sì ok vedono la terra dallo spazio, ma vivono mesi senza poter sentire il peso del proprio corpo, senza sentire il rumore di uno schiocco di dita, dove la condizione di "granello di polvere in questo universo" assume un significato non più filosoficamente new age o da canzone di Jovanotti, ma reale, e davanti a loro un intero pianeta come monito immenso a ricordarglielo: sì ok, guardi fuori dal finestrino e invece di due palazzi e qualche nuvola vedi questoma stacci tu sei mesi. Sei mesi in cui i contatti con quel pianetucolo chiamato Terra si riducono ad un "Houston, nessun problema qui" quando ti va bene, oppure:


Di nuovo - dopo Avatar - lo spazio è il teatro prescelto per una tridimensionalità avvolgente, ipnotica, immensa e al tempo stesso intima, ma, al contrario di Avatar, questa volta il realismo sconvolgente e la regia virtuosistica servono a raccontarci solo due dimensioni, quella infinita di un ambiente che abbiamo voluto conquistare per forza, e che non era certo stato creato per noi - lassù, non volevo ricordarvelo io in maniera così bruta, ci sono gli Dei -e l'immenso interiore che l'uomo (il genere umano) nasconde in sé: liddentro, sarebbe il caso di ricordarselo sempre, c'è la capacità di astrazione umana, probabilmente una forza più potente di mille propulsori, un "ambiente" più grande di tutto lo spazio, ma che, al contrario dello spazio, sembra essere in continua involuzione. Per aspera ad astrazione.
Il film farà man bassa di candidature ai prossimi Academy, con vittorie quasi certe per effetti speciali, effetti sonori, montaggio e probabilmente regia. Sandra Bullock regala la sua prima prova realmente convincente e coinvolgente, aiutata da un George Clooney mai così Buzz Lightyear come questa volta (già), che gigioneggia sì, ma con cognizione di causa, il suo personaggio è l'impersonificazione di un americanismo perl'appunto "astronautistico" cinematografico a cui siamo abituati, quasi un cowboy dello spazio, affascinante e bellimbusto, ma anche capace dell'estremo sacrificio. Non deve essere stato facile per i due attori girarlo, questo no.
Gli spazi - umani e cosmici, filosofici e astrali - sono i protagonisti assoluti di questa visione allucinante, una montagna russa che allibisce, a livello tecnico non solo il film dell'anno, ma di molti anni a ritroso e probabilmente a venire. Lo spazio, sì, che però, forse un eccesso di "sofismo" da parte mia, alle volte non pare così profondo. Ad ogni modo, un film imperdibile, da vedere assolutamente in un cinema, il più grande che conoscete, non pensateci neanche di vederlo a casa, per quanto grande sia il vostro plasma.
E, finito il film, inevitabilmente, uscirete a riveder le stelle.

2 commenti:

  1. Ti sono grato per questa bella recensione: è esattamente quello che mi aspettavo da Gravity.
    Meno male, và, dopo tanta fantascienza mediocre.

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  2. E poi l'ansia, e l'aria che manca!! Ma bellissimo...

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