martedì 22 gennaio 2013

Master and Commander

The Master
Trama: Setta nasale

Le aspettative generano i mostri. 
Attendi il "nuovo film di Anderson" (non quell'Anderson, e di certo non quell'altro Anderson) con una spasmodica quando non assoluta speranza: vedere del Grande Cinema Americano. Non ha quasi mai tradito le aspettative, Anderson, dalla vita porno, alla vita petrolio, alle vite magnolie: Anderson è un Grande Regista Americano, proprio "americano" della miglior America possibile, quella che ok, vende le armi e se ti tagli due dita ti puoi riattaccare solo quella che costa meno, ma anche quella che crea i Geni (Che sia proprio un Paese enorme e dagli enormi attriti culturali quello che crea il Genio? Come direbbe quello, dal letame nascono i fior... Ad esempio in Itaglia, ci sono i Geni? Non me ne viene in mente neanche uno.) 
Comunque, The Master, sin dalla splendida locandina, era atteso. E molto. Era atteso perché non si sapeva bene quale fosse la vicenda, ma non prometteva nulla di buono (e quindi era già una gran promessa). Era atteso perché Joaquin Phoenix è un Attore come ne esistono pochi, ami quel labbro leporino e quello sguardo profondo, quella disperazione nel bianco degli occhi, la vedi che è Vera. Era atteso perché anche l'unto e mellifluo Seymour Hoffman è sempre una sicurezza. Era atteso.
E forse l'attesa distrugge per sua stessa natura lo stupore. Ti siedi al cinema e vuoi un Grande Film, vuoi una Grande Storia, pretendi di passare due ore investito dal Cinema. E quando non succede, la caduta è rovinosa. E con The Master non succede. Succede altro. Succedono cose non del tutto negative, per carità, ma non succedono quelle che volevi.
Il film non riesce mai davvero a scarnificare la patina (tutta Americana) di falsità e indignazione, non si riesce mai davvero a provare il Sentimento. Ci sono cose splendide, perfette, bellissime. Ma Anderson non riesce a liberarsi dai Simboli.
Ora. I Simboli. Già non è facile pensarlo, un Simbolo, renderlo reale, far sì che non sia una mera messa in scena di una parola, poi diventa quasi impossibile portarli in pratica (cioè inserirli nel film) senza rischiare l'iconografia spicciola. Rischi di diventare ridondante, rischi di far impazzire il critico, rischi che poi, a minuto 45, anche uno che cammina in terzo piano viene scambiato per un Simbolo. Rischi che quelli che riescono, tipo questo:

Vengono annullati da tanti altri troppo smaccati, quando non addirittura banali.
The Master è un film zeppo di Simboli. Il marinaio ricurvo (Simbolo) 
sotto il peso dei suoi demoni e degli immondi intrugli che beve (benzina e colluttorio, lucido da scarpe e limone, formaldeide e gin, tutti Simboli), ormai perso nella sua sindrome da stress post-traumatico (nel suo caso la guerra)

sale su una barca (Simbolo) per trovare un giaciglio e si ritrova di nuovo in mezzo al mare, trasportato dai flutti (Simbolo) 

e "accolto" (non senza una delirante forma di "scambio") da quella che all'inizio sembra una grande famiglia felice (Simbolo), un gruppo chiamato La Causa (nulla di così distante da Scientology, da qui le grandissime critiche che il film ha ricevuto da una parte di Hollywood e probabilmente da un ingrato Tom Cruise e "doma! lo! spazio!" Qui trovate un esaustivo articolo Trova le differenze tra la "religione" del film e quella reale), ma si trasforma poi in un mero gregge deindividualizzato con a capo un leader mefitico, un specie di setta che lo accoglie come "essere umano" con tutte le implicazioni e complicazioni - nel suo caso molte - e lo trasforma invece in una sorta di burattino decontestualizzato dalla realtà. 
Fino ad una corsa in moto (Simbolo). 

E via dicendo, di Simbolo in Simbolo.
Il fatto è che con tutta questa densissima presenza di Simboli, il film viene schiacciato (non tanto presto, ma definitivamente troppo presto) da un circolo vizioso un po' ripetitivo, in cui i due protagonisti si palleggiano sempre le stesse dinamiche.
Un peccato, perché Anderson è un Grande Regista, uno di quelli che non ti fa rimpiangere il Cinema Americano anni Settanta, quello capace di creare i Grandi Film, quelli che non ci sono più. Anderson aveva in mano una possibilità enorme, e dire che altre volte non se l'era lasciata sfuggire (se pensi a Il Petroliere), mentre questa volta si avvita (sulle vite e sulla vita) e non ne cava il tappo. E il contenuto, a lungo andare, diventa stantio.
C'è però un motivo che da solo vale la visione di The Master per almeno 10 volte. Quel motivo è Joaquin. (lo stesso motivo per cui il film si prende il Chicken, perché davanti ad un'interpretazione di questo peso non te la senti proprio di dare il Broccolo).
Non ho commentato molto le candidature agli Oscar, l'hype di due anni fa ci ha messo poco a scendere, in fondo è tutto un magna magna alle feste post-premiazione. Ma quest'anno l'Academy ha l'occasione unica di dimostrare che ancora ha un cervello pensante: dare un Oscar a Joaquin per il suo patetico e triste e sudicio e disperato reduce. Un personaggio che fa tornare i fasti dell'Actor Studio, di Jack Nicholson quando era Jack Nicholson, di Al Pacino e De Niro quando erano De Niro e Al Pacino. Non dico che Hoffman non sia grande, anche lui lo è, ma è avvezzo a questi ruoli ed è stato meglio (o peggio) in altri film, da Happiness a (persino) Mission Impossible III

Invece la candidatura alla Adams è il Regalo. 
Qui c'è Phoenix e Phoenix soltanto. Nel suo ruolo della Vita. Contro chi se la vede? Bradley Cooper (ma andiamo... l'ho anche visto il film, non dico sia male, ma, andiamo signori...); Hugh Jackman (eh?!); Denzel Washington (no. fidati.); e forse quello che è il vero avversario, Daniel Day-Lewis (lo vedo domani.)
Te lo dico io. Se il 25 febbraio non vedo Joaquin alzare un oscar al cielo... chiamo Xenu.
Bel poster turco.

4 commenti:

  1. Il poster rorscharch...o come si scrive...
    Bòna Chicheno...sinceramente son curiosa di leggere di Django...

    isa

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  2. oh aspettavo questo post!
    e mi trovo d'accordo al mille per mille, soprattutto sul Pollo dedicato a Joaquin!
    Quasi il mio tanto amato Philip Seymour mi è parso scomparire accanto a quella schiena gobba, e a quella risata così piena. Mi cospargo il capo di cenere per non averlo visto in originale.

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  3. Io l'ho trovato semplicemente una merda.Una noia mortale e la stortezza di joaquin non è bastata a salvare l'intero film!

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  4. Che due palle di film, ma cosa voleva raccontare? Mi sono perso dopo i primi 5 minuti in un mare di noia totale... l'unica cosa che mi ha tenuto sveglio e' stato scoprire nei titoli di coda se la vecchia era davvero Laura Dern...

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